Viene la notte,
con la sua tranquilla fronte cinta da papaveri
e con lei
dall’oscurità
arrivano i sogni
[Ovidio, Fasti, IV, 660-661]
Il logo della nostra scuola è un omaggio al papaver somniferum.
Lo abbiamo scelto per il suo grande valore simbolico, poiché le radici di questo fiore affondano profondamente nella storia della nostra cultura e della nostra terra.
Per millenni ha ricoperto un ruolo centrale sia come medicamento per alleviare i dolori, che come sostanza usata per modificare gli stati di coscienza in contesti religiosi antichissimi. A livello simbolico, ha rappresentato il sogno e l’oblio, avendo il potere di collegare direttamente l’essere umano con il Divino e aprendo il varco verso livelli inaccessibili nello stato cosciente.
Per queste qualità è divenuto rapidamente un oggetto di culto.
La storia della relazione tra il nostro popolo e il papavero comincia nel neolitico proprio da noi, nel bacino del Mediterraneo e da qui si espande nel resto del pianeta.
A tutt’oggi la morfina estratta dal papavero, dopo migliaia di anni, è ancora l’antidolorifico più efficace e diffuso del pianeta terra.
In un insediamento palafittico del lago di Bracciano, risalente al 5600 a.C. sono stati trovati resti di capsule, testimonianza più antica al mondo di coltivazione della pianta. E ancora nel sito archeologico di Spilamberto, Modena, con resti risalenti al 5500 a.C. E poi ancora in provincia di Varese, dove sono stati rinvenuti semi risalenti al 4840-4680 a.C., così come nel sito archeologico di Palù di Licenza, in provincia di Pordenone, datati 4400 a.C.
Nell’ambito dello studio sullo sciamanismo europeo, le testimonianze attestate dell’uso del papavero da oppio si rivolgono alla Magna Grecia arcaica, dove era usato come sostanza sacra a fini sciamanico-estatici e terapeutici. Le qualità sedative e narcotiche del papavero erano usate per causare esperienze mistiche, e ciò fa di questo fiore la sostanza il cui uso sacro è, molto probabilmente, il più antico d’Europa. Per la civiltà neolitica l’esperienza contemplativa provocata dalla musica, dalle percussioni, dalla danza e dalle piante psicoattive che conducevano all’estasi, era considerata sacra per via dell’unione con il divino.
Il papavero, perciò, era un indispensabile strumento per le pratiche religiose e sciamaniche.
Nella società tardo minoica cretese è stata ritrovata una statuetta chiamata la “Dea dei papaveri” risalente al 1400 a.C. chiamata anche “Dea dell’estasi”. Sulla testa della donna, che ha gli occhi chiusi e il volto sorridente, sono presenti tre capsule di papaveri.
Nel mondo greco l’uso del papavero era diffusissimo. Il fiore è raffigurato accanto a divinità come Nyx, dea della notte, di Hypnos dio del sonno, di Thanatos dio della morte, di Ade e Persefone dei degli inferi e di Eros dio dell’amore. Anche Dioniso, dio dell’Ebrezza, era coronato con capsule di papavero.
Sopra tutti, però, il papavero era attributo di Demetra, dea delle Messi, alla quale erano dedicati, insieme a sua figlia Persefone, i Misteri Eleusini, i più grandi e famosi misteri dell’antichità, di cui conosciamo poco per via del fatto che nessun appartenente al culto ha mai infranto il voto di segretezza cui era tenuto. Certo è che si trattava di esperienze estatiche riservate agli iniziati sui segreti della vita oltre la morte.
Nello sciamanismo italiano esisteva un legame molto stretto tra i rituali estatici, che prevedono l’alterazione dello stato di coscienza, e il sonno.
I romani conoscevano l’uso del papavero, e il fiore è rappresentato su monete, bassorilievi, ceramiche e molto altro, spesso affiancato alle divinità.
In Puglia questo vegetale aveva grande rilevanza tra l’antico popolo dei Dauni. Su alcune statue stele femminili risalenti all’VIII-VI sec. a.C. sono raffigurati dei pendenti sferici, appesi alle cinture, che rappresentano papaveri: probabilmente il simbolo di una casta di sacerdotesse che utilizzavano il vegetale a fini taumaturgici e medicamentosi.
E sempre appannaggio delle donne, nelle culture rurali più recenti del sud Italia, era la preparazione della “papagna” (estratta dal decotto delle capsule), millenni più tardi. Nel meridione d’Italia, fino a mezzo secolo fa, le nostre nonne ancora conoscevano l’uso tradizionale del papavero da oppio, ultime depositarie in Europa di un universo culturale arcaico.
A tutt’oggi, nel sud d’Italia, per dire che ci si è arresi a un sonno invincibile, si dice “mi sono appapagnato”. E ancora oggi, millenni più tardi, “l’Italia meridionale è l’area nel mondo a maggiore diffusione della pianta selvatica del papavero da oppio”.
Anche tra le genti autoctone della Lucania, l’uso della “papagna” per dormire, rilassare, curare il mal di stomaco e le crisi epilettiche, l’esaurimento nervoso e il dolore del lutto, rimaneva una tradizione risalente a tempi assai remoti, scomparsa in seguito alle continue repressioni operate da case farmaceutiche e ai divieti della nuova religione cristiana. Le donne, custodi di antichissime e preziose conoscenze relative alla natura delle piante curative che crescevano sulla terra dei propri antenati vennero condannate, giudicate e punite. Ciò portò a uno scollamento con le conoscenze delle tecniche estrattive rurali di questo fiore sacro. L’isolamento dei principi attivi contenuti nel papavero da oppio da parte della medicina ufficiale segnò la fine della pacifica convivenza millenaria con la pianta. Alcuni derivati sintetici del papavero risultano a tutt’oggi estremamente pericolosi per la salute umana. L’eroina e le droghe pesanti sono un abuso della società contemporanea che noi disapproviamo.
Così, per un crudele scherzo del destino, l’uso religioso ed estatico del papavero che aveva donato l’oblio a milioni di persone per millenni, cadde nell’oblio egli stesso.
Tuttavia, secoli di repressioni non sono riusciti a estirpare le antiche radici simboliche del papavero dalle nostre terre. Mediante una elegante opera di sincretismo, tali conoscenze hanno resistito alla prova del tempo. Come scrive De Martino, che riporta una tesi di Theodor Trede: “la Chiesa non ha vinto il paganesimo greco-romano ma, al contrario, il paganesimo ha vinto la Chiesa: nell’otre è rimasto il vino vecchio, solo l’etichetta è cambiata.”
Nel nostro Sciamanismo Italiano noi non usiamo il papavero né alcun altro tipo di droga.
Crediamo, come riporta anche Mircea Eliade, che le droghe siano un surrogato volgare della transe pura. L’uso di droghe indica una decadenza della tecnica vera e propria, poiché è un tentativo di imitare l’ebbrezza di uno stato spirituale cui non si è più capaci di giungere in alcun modo.
Tuttavia le radici del papavero, quale simbolo delle nostre tradizioni sciamaniche così come lo sono altre piante sacre presso altre popolazioni, ci collegano in maniera ininterrotta ai popoli neolitici che abitavano la Penisola, ai nostri comuni progenitori, ai nostri Antenati, attraverso più di settemila anni di storia.
Ed è per questo che noi lo abbiamo scelto per il nostro logo, ponendo sotto la sua protezione e il suo potere numinoso la nostra ricerca.
Bibliografia
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@Photo Credit J. Ollé_Museo archeologico di Creta a Heràkleion. From Wikipedia.